INDICE:
- Chi ha ispirato il tuo modo di vivere il lavoro?
- Una parola chiave: Integrare
- Non siamo fatti di sola carne
- Lavorare per vocazione
- Counselor, professionista della relazione d'aiuto
- Il valore della relazione
Chi ha ispirato il tuo modo di vivere il lavoro?
Ti sei mai chiesto chi ha influenzato il tuo approccio al lavoro? Per me, è stato mio padre: un educatore e insegnante capace di combinare sensibilità umana e attenzione alle piccole cose con una visione innovativa e concreta. La sua passione mi ha insegnato che il lavoro può essere un atto di cura e creazione.
Tuttavia, crescendo, ho incontrato un modello diverso, spesso diffuso nella nostra società: il lavoro visto come dovere, fatica, rinuncia e necessità. Questo contrasto mi ha portato a riflettere sull’importanza di ascoltarsi, di porsi domande e di sviluppare consapevolezza per scegliere orientamenti rinnovati e più autentici.
Una parola chiave: integrare.
Poniti quest’altra domanda: cosa significa per te la parola integrare ?
Fermati un momento, ascoltati: quali pensieri e quali sensazioni emergono?
Le parole sono i tasselli del puzzle del linguaggio, rappresentano contenuti astratti e/o concreti che ci consentono di comunicare, di mettere informazioni in comune e avere relazione.
Ma oltre il linguaggio convenzionale, le parole sono impregnate anche dalla sostanza assorbita dai modelli avuti e dalle esperienze della nostra vita, la nostra mappa mentale e percettiva soggettiva.
Integrare significa unire, ampliare, includere nuove possibilità e significati. È un processo che richiede non solo la logica ma anche l’intuizione, e ci invita a guardare oltre i confini della nostra mappa mentale per esplorare nuove prospettive. Attingere a tutte le risorse preziose che abbiamo a disposizione nel mondo interiore.
Nel percorso di crescita come esseri umani, integrare significa imparare a riconoscere e valorizzare tutte le parti di sé, anche quelle che abbiamo trascurato o giudicato. È un viaggio verso un’unità più autentica e consapevole, unendo sapere, fare ed essere.
Non siamo fatti di sola carne.
Carne/corpo/materia viva.
Ma non siamo solo corpo, c’è anche un’intelligenza che, attraverso impulsi elettromagnetici e flussi biochimici, si muove nelle cellule; ci sono risposte emotive al pensiero e all’esperienza che si diffondono attraverso la rete del sentire.
Ancora non basta, c’è altro, al quale è difficile dare un nome; puoi chiamarlo spirito, anima o semplicemente essenza. E’ quella parte che ci connette al mistero e alla sacralità della Vita. Integrare questa dimensione nel lavoro significa portare tutto ciò che siamo: il corpo, con la sua energia e presenza; la mente, con la sua capacità di analisi e visione; le emozioni, che ci guidano nel sentire; e il senso del sacro, che ci ricorda il valore unico di ogni azione.
Con la mente aperta alla possibilità di integrare un’altra visione, oltre a quella conosciuta, svolgere un lavoro, esercitare una professione significa anche portare in quest’esperienza tutto di se stessi, la carne, l’intelligenza, le emozioni, il senso del sacro. 360° di esperienza in continuo cambiamento, arricchimento, evoluzione.
Lavorare per vocazione
Da adolescente desideravo sviluppare la mia creatività e la mia famiglia mi ha sostenuta. Ma la Vita, con le sue sorprese, mi ha portata verso una missione ancora più autentica: aiutare le persone a realizzare il proprio ben-essere e a scoprire la propria vocazione.
Prezioso Ascolto, di sé oltre che degli altri, perché ci guida verso ciò che siamo davvero. Mettersi in contatto con la propria essenza autentica richiede mettere da parte qualche condizionamento, fare i conti con alcune aspettative. Ascoltare il proprio daimon – quella voce interiore che ci guida verso ciò che siamo davvero – richiede anche un po’ di coraggio. È così che nasce una vocazione: dall’ascolto di sé, dal dialogo con il cuore, dalla volontà di rispondere alla chiamata che ci invita a vivere pienamente ciò che siamo venuti a fare in questa vita.
In questa visione integrata, la scelta di una professione assume un significato più ampio e profondo.
Counselor, professionista della relazione d’aiuto
Avviare una professione d’aiuto oggi richiede non solo competenze tecniche, anche una mentalità aperta e resiliente. Passare da un lavoro dipendente a una libera professione, per esempio, significa imparare a creare autonomamente le proprie opportunità, affrontando le fluttuazioni economiche e gestendo paure e insicurezze.
Nel viaggio di realizzazione della propria professione, anche paure, insicurezze e frustrazione chiedono il nostro ascolto, accoglienza, integrazione. Essere Counselor significa anche coltivare continuamente il proprio essere, oltre al sapere e al fare. È un percorso di crescita personale e professionale, in cui si integrano corpo, mente, emozioni e spirito, perché senza questa completezza manca qualcosa di fondamentale.
Il valore della relazione
Con la collega Virginia Vandini abbiamo riflettuto sulle difficoltà ei potenziali che vediamo dei Counselor che formiamo e supervisioniamo. Da queste riflessioni è nato un progetto di aggiornamento professionale, pensato per i colleghi professionisti che desiderano continuare a crescere, esplorare e mettersi in gioco.
Essere Counselor non è solo un lavoro, é un modo di esprimere ciò che siamo con autenticità e competenza…È una manifestazione concreta del nostro cammino, un contributo unico alla vita e alla relazione con gli altri.
“La persona realizzata è quella che s’impegna per la conoscenza di se, l’auto espressione, l’autorealizzazione.” Alexander Lowen
E tu, sei pronto a disegnare il tuo futuro partendo da ciò che sei?